Permafrost Artico in scioglimento: rischio mercurio in aumento

Con l’aumento delle temperature globali, il permafrost si sta sciogliendo più velocemente, rilasciando nell’ambiente uno dei metalli tossici più pericolosi: il mercurio. Questa situazione rappresenta una potenziale minaccia per l’ambiente e la salute umana.

Attraversando l’Alaska e il Mare di Bering, il fiume Yukon sta erodendo il permafrost, il quale è uno strato di terreno ghiacciato che si trova a una certa profondità nel suolo di diverse regioni, in particolare nelle zone ad alta latitudine e altitudine, portando alla sua naturale sedimentazione a valle.

Il riscaldamento globale ha accelerato questo processo, causando un rilascio significativo di mercurio tossico nell’ambiente.

È importante notare che, sebbene il mercurio rilasciato dal permafrost non rappresenti immediatamente una minaccia tossica, il suo impatto potenziale aumenterà col tempo. Esso si accumula gradualmente nella catena alimentare, creando rischi per i pesci e gli animali selvatici che alla fine possono essere consumati dall’uomo.

Un recente studio condotto dai ricercatori dell’University of Southern California Dornsife College of Letters, Arts and Sciences (USC) analizza metodi più eficaci per quantificare e comprendere il problema del mercurio nell’Artico.

Perché il mercurio si trova nell’Artico?

La circolazione naturale dell’atmosfera contribuisce a far spostare gli inquinanti verso latitudini elevate.

Di conseguenza, il mercurio si accumula nell’Artico, dove penetra nelle piante, morendo e mescolandosi al suolo. Questa sostanza tossica si congela nel permafrost che, rimanendo ghiacciato durante l’anno, ha consentito per millenni l’accumulo di concentrazioni significative di mercurio. In questa forma, il metallo non è particolarmente pericoloso.

Tuttavia, viene liberato durante il disgelo del terreno, un fenomeno intensificato dal cambiamento climatico. Infatti, l’Artico si sta riscaldando quattro volte più velocemente rispetto alla media globale.

Queste masse precedentemente intrappolate nel permafrost ora vengono erose, rilasciando mercurio nell’ambiente. Ciò costituisce un serio rischio ambientale e per la salute per i 5 milioni di persone residenti nell’Artico e per gli oltre 3 milioni che abitano in zone dove il permafrost è previsto scomparire entro il 2050.

“Potremmo trovarci di fronte a una enorme bomba di mercurio nell’Artico pronta a esplodere,” afferma Josh West, coautore dello studio e professore di scienze della Terra e studi ambientali alla USC Dornsife.

Il rischio di esposizione al mercurio attraverso l’acqua potabile è attualmente basso, sebbene molte persone possano essere esposte a livelli di mercurio attraverso la loro dieta. I sedimenti erosi spesso vengono quindi depositati più a valle nei corsi d’acqua.

Capire le dinamiche di questo spostamento è cruciale per valutare l’entità della minaccia alle comunità artiche.

Prevedere i problemi di inquinamento da mercurio nell’Artico

La nuova ricerca esplora un metodo più preciso per misurare la quantità di mercurio rilasciata dal permafrost attraverso il fiume, nonché per stimare la quantità totale di mercurio in attesa di essere liberato.

I metodi precedenti per misurare i livelli di mercurio presentavano limitazioni, come quelle legate alla profondità di campionamento del suolo, il che comportava risultati molto variabili. I campionamenti venivano effettuati solo sugli ultimi tre metri di permafrost.

Al contrario, lo studio ha analizzato i sedimenti delle rive dei fiumi e dei banchi di sabbia, prelevando campioni dagli strati più profondi del terreno. I risultati ottenuti si sono rivelati coerenti con le stime massime di ricerche precedenti, suggerendo che il metodo adottato è probabilmente affidabile.

Le scoperte del team di ricerca

Il team ha inoltre utilizzato immagini satellitari per prevedere come il corso del fiume Yukon potrebbe evolversi nei prossimi anni e gli effetti che ciò potrebbe avere sull’erosione delle sponde cariche di mercurio. Si spera che queste informazioni possano facilitare la previsione del movimento di questo inquinante.

I ricercatori hanno inoltre osservato che i sedimenti più fini contenevano una maggiore quantità di mercurio rispetto a quelli più grossolani, indicando che i diversi tipi di suolo possono comportare rischi distinti.

“Prendere in considerazione tutti questi fattori ci permetterà di fornire una stima più accurata della quantità totale di mercurio che sarà rilasciata man mano che il permafrost continuerà a sciogliersi nei prossimi decenni,” conclude Isabel Smith, dottoranda presso la USC Dornsife e autrice principale dello studio.

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